La vita politica italiana degli ultimi mesi doveva prendere una piega differente.
La perdita di potere d’acquisto dei salari delle famiglie, il calo della produzione industriale, la crescente inflazione, il problema della spazzatura campana, il caso Alitalia e la perdita di competitività del nostro Paese in tutte le classifiche ufficiali sarebbero dovuti essere il banco di prova di questo governo. Dovevano essere le tematiche con cui maggioranza e opposizioni si sarebbero dovute confrontare, nella ricerca della formula più idonea per liberarsi dei pesi che rallentano il nostro cammino. Ma la politica ci ha insegnato negli ultimi anni, che non sempre i problemi reali del Paese sono una tematica degna di essere affrontata con urgenza.
Come previsto dai più, i primi provvedimenti del nuovo governo sono stati indirizzati verso tutt’altra direzione, ponendo come fulcro una demagogia che ha spinto a togliere la tassa federalista dell’ICI al 60% delle abitazioni più costose non inserite all’interno dei tagli del governo Prodi, bilanciata da una riduzione degli investimenti in infrastrutture nelle regioni che hanno il gap infrastrutturale più accentuato.
Si è fatta demagogia ponendo la sicurezza al primo punto istituendo il reato di clandestinità da una parte, e dall’altra sospendendo circa 100.000 processi con la norma sospendi processi, come dichiarato dall’Associazione Nazionale Magistrati. Si è tentato di far passare l’idea che tali processi sospesi riguardassero processi per reati lontani dalla quotidianità degli italiani, omettendo di affermare venivano sospesi i processi per reati come il sequestro di persona, l'estorsione, la rapina, lo stupro, l'associazione per delinquere, le frodi fiscali, la corruzione, l'abuso d'ufficio, l'immigrazione clandestina, la detenzione di materiale pedopornografico, le molestie e maltrattamenti in famiglia, gli omicidi colposi per colpa medica o a seguito di incidenti stradali, il traffico di rifiuti.
Una delle tante contraddizioni esistono nel voler da una parte mostrarsi come forza dura nei confronti della repressione dei reati, e dall’altra parte di nascosto sospendere i processi per reati diffusi e socialmente pericolosi.
Non soddisfatto il nuovo Governo, si è imbarcato nel progetto del disegno di legge per eliminare le intercettazioni o perlomeno limitarle a reati di estrema gravità quali mafia e terrorismo, sottraendo ai pm uno strumento come quello delle intercettazioni, che da sempre ha permesso di fermare molti crimini.
Tutti questi strappi hanno messo in subbuglio la base del Partito Democratico, mentre il suo leader portava avanti un’opposizione non convenzionale, un opposizione che si chiudeva ai banchi del parlamento minacciando la rottura di un dialogo che la controparte non ha mai realmente cercato.
Il governo deciso a buttare altra benzina sul fuoco, nei primi giorni del mese nella figura del Ministro Alfano, che senza remore posso affermare tra i peggiori ministri della storia repubblicana, relegato all’unico compito di dar voce ai desideri del Presidente del Consiglio, preparava il provvedimento di una forza negativa tale da distruggere l’impianto dei diritti che la costituzione ha garantito. Parlo ovviamente del lodo Alfano, una legge ordinaria, studiata unicamente per fermare i processi a carico del premier, rendendo lui e altre tre cariche istituzionali immuni a procedimenti giudiziari.
L’immunità, anche se limitata nel tempo, è uno strappo gravissimo ai principi di eguaglianza formale stabiliti nell’art. 3 della nostra costituzione. Si cerca con una legge ordinaria di cambiare i principi del dettato costituzionale, quindi non ci resta che aspettare la Corte Costituzionale, ultimo baluardo a difesa della nostra Carta costituzionale che si pronunci. Nell’attesa i media nazionali, incapaci di fornire una libera informazione, ci bombardano con notizie varie all’unico scopo di mantenere bassa l’attenzione su quello che sta succedendo nelle stanze del potere.
Il tasto più dolente risulta tuttavia essere il comportamento senza precedenti del Partito Democratico, fermo nelle sue stanze ad occuparsi dei movimenti interni di correnti, ed incapace di fornire un’opposizione forte e decisa come la propria base elettorale richiede. La fuga di voti diventa un’amara realtà e il 4% dei voti perso in pochissimi mesi, potrebbe essere la pioggerellina anticipatrice di un diluvio di ampie proporzioni.
Un cambio di rotta è necessario ed è ora di iniziare con una presa di coscienza dell’impossibilità di dialogo, un supporto reale a tutti quei consiglieri e militanti che nelle città continuano lavorare senza reali indicazioni nazionali, un processo di creazione e di radicamento sul territorio senza doversi perdere in regolamenti e cavilli. Questi potrebbero essere i primi passi di un partito deciso a non implodere perché troppo focalizzato sulle proprie contraddizioni e debolezze, fino al punto di non vedere le proprie potenzialità.
Marco Cuzzocrea
Giovane Volontario PD Reggio Calabria